“Everyday Robots”, Aitor Throup

Cancellare l’arte, il gesto personale dell’artista, dietro il funzionamento asettico e matematico di una rappresentazione computerizzata. Realista romantico all’epoca di internet, Aitor Throup compone a tutti gli effetti un ritratto dal vivo, operato secondo i canoni di un naturalismo estremo. Scansionati con il software CGI, i frammenti del cranio di Damon Albarn riempiono lo spazio nero, in un balletto meccanico di esplosioni e ricomposizioni, protesi, innesti di muscoli e tessuti, capelli, labbra e ciglia, finché lentamente vediamo apparire il volto del musicista, la sua identità esteriore e pubblicamente riconoscibile, resa però anonima da una tintura grigia che lo fa sembrare un blocco di creta ancora fresca. Ora lo sfondo è diventato bianco: sotto una luce algida tra il tavolo operatorio e lo studio architettonico, la testa si triplica come nel famoso ritratto di RichelieuPhilippe De Champaigne per il Cardinale Richelieu, proiettando ombre cangianti. Evidente il paradosso che Throup ci pone: le tre teste di Albarn sembrano molto più innaturali, più false, del teschio custodito dentro di esse. Le ossa appartenevano ad ognuno, eravamo tutti noi; il volto completo è invece di un uomo solo. Il teschio incarnava un tempo eterno e collettivo; il volto un presente fuggevole e privato, la fragilità di ogni esistenza singola. Il teschio pulsava di vita, il volto sembra un cadavere.

marc-quinn-selfSelf di Marc Quinn, 1991. Un autoritratto, una scultura della propria testa, realizzata con 4,5 litri del suo stesso sangue congelato, posta all’interno di una teca costantemente refrigerata. Ogni 5 anni Quinn realizza una nuova versione dell’opera, documentando così la propria trasformazione fisica. Self declina in tono sarcastico il concetto di verismo riproduttivo: la scultura non riproduce l’artista, ma è l’artista. La materia dell’opera coincide con quella dell’autore, la forma equivale drammaticamente al contenuto. Un’inquietante corrispondenza, che cela però un suggestivo scarto: mentre il sangue da vita perché porta calore all’intero corpo, la testa di Self resta intatta perché eternamente congelata. L’uomo vive nel caldo, l’arte nel gelo. 

Figlio naturale dell’opera di Quinn, dei teschi di Damien Hirst e di secoli di vanitas medievali che cupamente indagavano il dualismo morte/vita, Everyday Robots ci parla dell’impossibilità di una scienza inumanamente astratta, ci dice che anche dietro il più sofisticato dei congegni medici può celarsi il brivido dell’arte. Che non esiste esperimento senza emozione.  

oLDBoY

Lascia un commento